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VIOLENZA SULLE DONNE: RICONOSCERLA PER LIBERARSI

Rosa Anna PassarettiDella dott.ssa Rosa Anna Passaretti
Psicologa Psicoterapeuta
Centro Antiviolenza L’Aquila
e Consultorio AIED L’Aquila

Larissa, Barbara, Bruna, Rossella, Lorena, Gina, Viviana, Maria Angela, Alessandra, Marisa, Zsuzsanna.

Sono i nomi delle donne uccise durante il lockdown degli ultimi due mesi. Una donna uccisa ogni 7 giorni. Donne uccise per mano di uomini violenti: mariti, conviventi, compagni, padri, fratelli, addirittura in un caso, figli. Erano donne, professioniste, giovani che stavano costruendo il loro futuro, alcune madri, altre figlie. Dietro questi nomi ci sono storie di abusi subiti per anni, intimidazioni e minacce portate fino al culmine estremo.

Questo periodo di reclusione legato alla minaccia del Covid-19 è stato spesso sponsorizzato come un’occasione per cucinare tutti insieme, per rilassarsi su un divano a guardare la tv in famiglia, oppure per fare sport tramite app e per alcuni è stato senza dubbio un’opportunità per recuperare luoghi, persone, passioni. Purtroppo però queste immagini di un ritrovato calore del focolare non sono attribuibili a tutti e a tutte, perché questa quarantena non è stata uguale per tutti e tutte.  Men che mai lo è stata per quelle donne che ora non ci sono più, né lo è stata per le donne costrette a condividere spazi angusti con i loro aguzzini senza avere alcuna possibilità di chiedere aiuto.

La violenza sulle donne è un tema molto articolato e complesso che, sebbene negli ultimi anni sia più presente nella comunicazione di massa, è ancora fortemente sottovalutato e pericolosamente sommerso. I meccanismi della violenza si celano spesso dietro comportamenti e forme di comunicazione subdoli che non sono sempre riconoscibili se non quando si manifestano in maniera troppo violenta e pericolosa. Ma vediamo da vicino quali sono questi meccanismi evidenziando come il ciclo della violenza segua un percorso noto e che accomuna la gran parte delle storie di abuso.

Il primo stadio di questo ciclo è caratterizzato dal tentativo di svilire, sminuire, mortificare la vittima “stai zitta… che ne sai tu?”, “…non capisci niente! Stupida!” parole che, se inizialmente destano fastidio e irritazione nella donna che subisce tali insulti, finiscono nel tempo per essere legittimate tanto dalla vittima quanto dall’aggressore. Frutto degli stereotipi di genere, queste gravissime affermazioni vengono giustificate e concesse in virtù di un machismo culturale che ci caratterizza da millenni.

Quando dalle parole (che, attenzione! costituiscono comunque violenza) si  passa all’azione, siamo al secondo stadio, quello in cui alla violenza verbale e psicologica si aggiunge quella fisica fatta di schiaffi, pugni, calci, fino ad arrivare a pregiudicare la vita stessa della donna. La paura sempre più concreta di morire è senza dubbio la risposta emotiva dominante, e le donne vittime di violenza temono di vedere completamente annullata la propria vita e quella dei propri cari (se nel nucleo familiare sono presenti dei figli, queste paure sono chiaramente amplificate). La reazione all’esplosione della violenza con tutta la sua carica di aggressività e pericolosità è assolutamente differente da donna a donna. A questo punto è doveroso sottolineare quanto per una donna sia tutt’altro che facile parlare di quello che accade nella sua vita quotidianamente. La manipolazione subita per anni e anni indebolisce fino ad annullare ogni capacità di discernimento e la sua anima ormai oltraggiata è abitata da emozioni che la schiacciano: la vergogna “se accetti di essere trattata così, sei una debole”, la colpa “se è successo tutto questo, forse tu l’hai provocato”, il giudizio “se  accetti di stare con un uomo così, allora te la cerchi”“perché semplicemente non fai le valigie e te ne vai?”. Ci sono donne in grado di mettere in atto meccanismi difensivi appropriati: chiedere aiuto ai centri antiviolenza, rivolgersi alle forze dell’ordine, denunciare; altre non ce la fanno e scelgono di non difendersi nell’illusione di placare l’ira del loro aggressore o quanto meno di non vedere aumentato il rischio di morte per loro e per i loro cari.

La tappa seguente alla fase acuta del maltrattamento fisico, psicologico ed emotivo è quella che viene generalmente definita come “luna di miele”. L’uomo maltrattante a questo punto mostra segni di pentimento, vorrebbe tornare indietro, cancellare l’accaduto fino alla fatidica promessa “Non lo farò più…ti prometto che non succederà più”. In questa fase, ahimè, molte donne tornano sui loro passi: ritirano denunce, qualora ne avessero fatte, iniziano a sminuire la violenza subita con gli altri e con loro stesse, si illudono di poter controllare e quindi gestire questi uomini modificando i loro comportamenti. Sì, perché quello che succede nelle storie di abuso è un vero e proprio spostamento di responsabilità da parte degli uomini: la responsabilità dell’azione violenta viene attribuita a fattori esterni quali ad esempio problemi economici, stress lavorativo, consumo di sostanze…finché è la vittima stessa che si assume la colpa della violenza “l’ho provocato io”, “potevo stare zitta e invece ho risposto”, “è stata colpa mia se si è arrabbiato così… lui mi vuole bene davvero, sono io che ho sbagliato”, finendo così per perdonare il compagno “pentito”.

Con la luna di miele si chiude il ciclo della violenza, ma da questo momento in poi ogni evento può re innescare l’escalation e quindi far partire nuovamente il ciclo. Con il passare degli anni i maltrattamenti e gli episodi di violenza diventano sempre più frequenti e pericolosi e la vittima è sempre più intrappolata nella rete della paura e della solitudine. Paura e solitudine sono vere e proprie armi utilizzate contro le donne dagli uomini maltrattanti per continuare ad esercitare il loro potere, nutrire il loro narcisismo patologico che non ammette relazioni simmetriche e paritarie. Le donne invece devono sapere che non sono sole, i centri antiviolenza possono accoglierle e accompagnarle in percorsi di autodeterminazione per uscire dalla spirale della violenza e riprendere in mano la loro vita.

Ho iniziato questa breve riflessione con dei nomi e voglio concluderla con altri nomi: Alessia, Sara, Manuela, Alessandra. Sono i nomi di donne che sono riuscite a liberarsi, o nomi di donne che un giorno lo faranno; sono anime oltraggiate e violate che riscopriranno la loro bellezza e la mostreranno al mondo con orgoglio e dignità!

Contatti utili:
– Centro Antiviolenza L’Aquila Tel. 3400905655
– Numero verde antiviolenza donne 1522

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