Categorie
Notizie

QUANDO NON È SOLO UNA “BUONA” NOTTE… LE DIFFICOLTÀ DEL SONNO NEI BAMBINI E NELLE BAMBINE.

Delle dott.sse Claudia Fiore e Flaminia Vacchini
Psicologhe e Psicoterapeute psicoanalitiche del bambino,
dell’adolescente e della coppia (SIPsIA),
autrici del volume “La notte si avvicina…” edito da EPC

©️ diritti riservati

Ci sono bambine e bambini che la sera non andrebbero mai a letto anche se sono stanchissimi, altri che si svegliano frequentemente con qualche richiesta o perché hanno fatto un brutto sogno, altri ancora che dormono sereni solo nel letto con mamma e papà.
L’addormentamento non è solo una risposta automatica a un bisogno del corpo, ma una fase molto delicata che ha profonde implicazioni emotive: in quel momento infatti bambine e bambini possono sentirsi più fragili e vulnerabili, esposti a sensazioni di perdita o di timore. Proprio per questo motivo le difficoltà legate alla gestione dell’addormentamento e del sonno rappresentano uno dei motivi più frequenti di richiesta di consultazione psicoterapeutica, specie nei genitori delle bambine e dei bambini più piccoli… ma non solo!
Il sonno rappresenta un momento di distacco dal mondo delle relazioni affettive e si candida pertanto, a pieno diritto, come l’ambito in cui confluiscono e prendono forma le difficoltà legate alla dimensione separativa.
Addormentandosi le persone lasciano dietro di sé il tempo delle attività e delle relazioni con gli altri, si distaccano dalla vita diurna e allentano il controllo sul mondo esterno per potersi avventurare in una nuova dimensione, quella onirica.
Questo passaggio può tuttavia non avvenire sempre in maniera lineare e anzi, a volte, può richiedere un lavorio interno anche piuttosto faticoso: nel sonno, infatti, la bambina o il bambino si può sentire isolata/o e inaccessibile in quanto entra in uno spazio su cui ha l’impressione di non avere molto controllo.

Ma allora, cosa si può fare per “risolvere” il problema e far sì che tutta la famiglia passi una meritata “buonanotte”?
Il nostro punto di vista non si incentra tanto sul COSA FARE, quanto sul PERCHÉ un comportamento – più o meno critico – si manifesta.
Vediamolo nel concreto con l’aiuto di qualche esempio.

“NO! Io a letto non ci vado!” … Flavia ha sette anni e nessuna voglia di andare a dormire. La giornata appena trascorsa è stata molto intensa e piena: prima la scuola, poi la lezione di pianoforte, i compiti con la baby-sitter, la cena, i cartoni… ma anche se adesso è molto stanca, la mamma non riesce a convincerla che è proprio ora di andare a letto…

Flavia, così come tante altre bambine e bambini, è stata tutto il giorno piena di impegni che l’hanno soddisfatta e divertita ma, al contempo, tenuta lontana dai suoi affetti principali: la mamma e il papà. Ora, quando finalmente se li potrebbe godere, è giunto per lei il momento di andare a dormire e la bambina proprio non ne vuole sapere… che disdetta!
Nonostante il sonno avanzi, Flavia lotta strenuamente per evitare di cedergli e attiva comportamenti bizzosi o disorganizzati, che facilmente irritano la mamma e sfociano in una grossa litigata tra loro.
Cosa si può fare per evitare questa escalation negativa?
Notiamo che la giornata della bambina è stata riempita di moltissime attività arricchenti e coinvolgenti che però, forse, hanno finito con il saturare le sue energie psico-fisiche, lasciandola in uno stato di sovraeccitazione che le è difficile contenere.
Sembra proprio che, con il suo comportamento, Flavia stia segnalando l’esigenza di recuperare uno spazio da vivere solo con la mamma, magari nell’attesa che rientri anche il papà.
La proposta di una fiaba da leggere insieme nel letto può essere uno spunto che sostiene la bambina a “lasciarsi andare” al sonno, in quanto le offre quel tempo supplementare, a tu per tu con i genitori, di cui sente il bisogno.

Diversa è la situazione di quelle bambine e di quei bambini di età molto piccola che si trovano a vivere periodi – magari transitori – molto faticosi, perché costellati da eventi di grande intensità emotiva.
Violante ha un anno e mezzo e da qualche settimana si sveglia nel cuore della notte urlando.
Quando i genitori corrono da lei la trovano in uno stato di vero terrore, con gli occhi sgranati e il viso rigato di pianto. Ogni tentativo di calmarla è vano: sembra quasi che la bambina non li riconosca.

Episodi di questo genere sono molto comuni nelle bambine e nei bambini piccoli e prendono il nome di “pavor nocturnus”: si tratta di una condizione del tutto fisiologica, funzionale alla scarica di un accumulo di energia psico-fisica, di tensione eccitatoria o di stress.
E’ molto importante che i genitori possano tenere a mente il contesto in cui il disagio della bambina o del bambino si manifesta. Nella vita di Violante, per esempio, si sono susseguiti molti cambiamenti: in pochi mesi ha tolto il pannolino e il ciuccio, è stata inserita al nido e la sua mamma aspetta un fratellino.
Quando si ha a che fare con bambine o bambini piccoli come Violante il canale preferenziale per raggiungerli non è ancora rappresentato dal linguaggio ma da comportamenti e atteggiamenti non-verbali messi in atto dai genitori, che fanno sentire la bambina o il bambino pienamente corrisposta/o nei suoi bisogni emotivi profondi.
Le crisi notturne di Violante si sono gradualmente diradate nel momento in cui la mamma ha potuto ampliare il tempo di gioco con lei, recuperando così uno spazio di intimità in cui la figlia ha sperimentato di essere ancora “piccola”, nonostante gli importanti traguardi evolutivi raggiunti.

“Mamma, posso dormire con voi? Ho fatto un brutto sogno!! C’erano i mostri che mi inseguivano”.
Richieste come quella fatta da Paolo, 7 anni, sono molto frequenti. Spesso il sonno di bambine e bambini è interrotto e disturbato da incubi che possono riguardare trame diverse: i mostri come nel caso di Paolo, ma anche streghe, animali feroci, insetti che invadono il letto…
Se, come abbiamo visto, il “pavor” si caratterizza come una condizione di terrore che, al pari di un uragano, arriva all’improvviso e travolge tutto quello che ha di fronte, diverso è invece il “compito” dell’incubo. Per quanto un brutto sogno sia spiacevole e pauroso ha anche una funzione elaborativa di grande importanza: è infatti lo strumento che l’apparato psichico utilizza per dare un senso a quello che accade nella realtà esterna e nel mondo interno delle fantasie.
Gli incubi pertanto sono fisiologici e utili allo sviluppo; quando però la loro frequenza o intensità diventa eccessiva è bene prestare attenzione, perché potrebbero essere il segnale di un periodo particolarmente stressante per il piccolo o il campanello d’allarme di un disturbo d’ansia da approfondire.
Accogliere immediatamente una richiesta come quella fatta da Paolo, che in preda alla paura di un incubo chiede di dormire nel letto con i genitori, può non essere la soluzione che risponde pienamente alla problematica sottostante, che è di tipo separativo. Ma allora, che fare?

…Purché si riesca a dormire un po’… si sente dire spesso dai genitori alle prese con nottate insonni che mal si abbinano ai ritmi frenetici della nostra vita.
Sappiamo che l’abitudine di dormire con i propri figli (tecnicamente “cosleeping”) è molto comune nelle famiglie, ma è una questione spinosa in quanto frequentemente le bambine e i bambini, anche grandicelli, finiscono con lo stabilirsi in modo definitivo in camera con mamma e papà, determinando dinamiche faticose che spesso si cronicizzano.
Relativamente al cosleeping esistono diverse scuole di pensiero, anche opposte: se ne evidenziano i rischi (tra i più gravi, il soffocamento del bebè) ma anche i vantaggi (dormire con i genitori aiuterebbe i piccoli a sviluppare un corretto ritmo sonno-veglia).
La richiesta di dormire nel “lettone” rappresenta spesso un bisogno della bambina o del bambino di maggiore vicinanza fisica con i genitori, ma chissà se a volte non possa essere anche un modo degli adulti per stare insieme ai figli. Dormendo vicini si ottiene infatti un piccolo “risarcimento” del tempo sottratto alla relazione dagli impegni della giornata.
Tuttavia, accogliendo indiscriminatamente i figli nel proprio letto, i genitori rischiano di sostenere un’esigenza regressiva, senza valorizzare le risorse che il bambino o la bambina possiede.
Non intendiamo dire che un bambino debba essere lasciato solo con le sue paure, ma che gli si possa proporre anche qualcosa che non sia subito il dormire nello stesso letto di mamma e papà.
Abbracciarsi, prendere una camomilla insieme, creare un rituale serale che permetta di condividere un altro po’ di tempo con lei/lui può essere confortante sia per i piccoli sia per i grandi.
Situazioni diverse, dinamiche familiari diverse, ma accomunate da uno stesso tratto: a monte c’è una difficoltà a gestire l’area della separazione.
Crescere significa anche separarsi ed è una questione delicata tanto per le bambine e i bambini, quanto per i genitori. Sebbene si tratti di un’esperienza attesa e necessaria a conquistare nuovi traguardi evolutivi, è molto spesso accompagnata da intensi sentimenti di nostalgia e perdita. I genitori possono sentire che il/la loro figlio/a non è più il tenero frugoletto che stringevano al petto fin solo a qualche mese prima; le bambine e i bambini possono sperimentare timore per quel che non conoscono ancora o paura di perdere i “privilegi” di cui godevano fin a quel momento.
Per quanto la crescita possa rendere tutti un po’ nostalgici del tempo passato, può anche far sentire fieri e orgogliosi degli obiettivi raggiunti e delle nuove capacità sviluppate, che vanno valorizzati e celebrati in quanto prodotto dell’impegno di tutta la famiglia.

Condividi