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PERSONAGGI MARVEL, LA RICERCA DELL’IDENTITÀ E LE INFINITE POSSIBILITÀ DEL SÈ

© Marvel

dott.ssa Marilisa Rocchi, Psicologa Psicoterapeuta AIED L’Aquila

Recentemente è uscito al cinema il ventottesimo film Marvel, Doctor Strange nel Multiverso della follia, attesissimo sequel del precedente Doctor Strange.

In verità, per poterlo comprendere non basta aver visto Doctor Strange, ma è necessario muoversi abbastanza bene attraverso il Marvel Cinematic Universe (MCU) e soprattutto avere familiarità con la serie TV Wanda Vision, di cui il film è l’ideale prosecuzione.

Sappiamo quanto successo abbia in generale l’MUC, amato un po’ a tutte le età, al punto che la stessa Disney ne ha acquistato i diritti e prodotto film e serie in grande quantità. Tuttavia è innegabile il suo specifico fascino su adolescenti e giovani adulti/e, per i/le quali gli eroi e anti-eroi che compaiono sugli schermi giocano un ruolo particolare e diventano potenti veicoli identificatori.

L’adolescente, impegnato nel processo di sviluppo, tende ad iperinvestire il mondo esterno a scapito di quello interno ed a spostare i conflitti specifici dell’età in quello che Jeammet ha chiamato “spazio psichico allargato”, ossia lo spazio costituito da coloro (persone, luoghi, ideali, personaggi) ai quali affida una parte delle proprie istanze psichiche in un dato momento della sua storia. Quando questo avviene attraverso un movimento condiviso, si assiste alla creazione di un’identità generazionale, con la costruzione di valori comuni e l’uso di “oggetti generazionali”, di cui i personaggi Marvel sono un chiaro esempio. Ironman, Spiderman, Wanda o la Vedova Nera non sono soltanto personaggi di film molto famosi, ma potenti figure identificatorie, che, nello snodarsi delle varie trame, evolvono, cambiano nel tempo, si redimono o cadono in baratri angosciosi ed in questa maniera accompagnano la crescita dei ragazzi e delle ragazze.

Mi sembra che Doctor Strange, con la sua introduzione del Multiverso, spieghi bene l’attrazione che i ragazzi e le ragazze provano per tali prodotti, che in fondo parlano di loro e della fatica di costruire un’identità e sentirla contemporaneamente aperta a mille vie eppure fragile, minacciata dalle stesse possibilità che si hanno davanti.

Prima di arrivare a parlare dell’ultimo film uscito, comunque, è opportuno dare qualche cenno dell’Universo in generale, visto che si tratta di una questione complessa, che può spiazzare chi vi si approccia per la prima volta. Tale complessità deriva direttamente dai fumetti, i quali esplorano e creano i personaggi in questione da quasi cento anni (Capitan America, ad esempio, nasce in piena seconda guerra mondiale come supersoldato che combatte i nazisti).

L’universo narrativo Marvel si divide in Serie, Fasi e Saghe e si può scegliere di guardare i film seguendo ognuna di queste linee tematiche. In particolare, si può seguire la storia di un singolo eroe, ossia una Serie, oppure di più eroi e personaggi che compongono insieme una micro-trama, come i molti film delle origini, fino alla creazione degli Avengers e alla battaglia finale con Loki, cioè una Fase, oppure si può seguire tutti gli eroi impegnati in un’epica battaglia, che si snoda attraverso moltissimi film e vedere così un’intera Saga. Finora l’unica Saga conclusa, durata più di venti film, è quella dell’Infinito, che ha visto i vari personaggi allearsi per combattere il gigante Thanos nel suo folle piano di sterminio di metà universo, ed ha portato alla morte di molte figure importanti ed amate, come ad esempio Ironman o La Vedova nera. Distribuire lo sviluppo su più film è un’operazione complessa, che presenta non poche difficoltà, ma che tuttavia permette di aggiungere parecchie sfumature nella caratterizzazione dei vari personaggi, difficilmente raccontabili in un solo film. Così Ironman può passare dall’essere un “playboy miliardario” geniale, ma arrivista e superficiale nei primi film, alla figura eroica che si sacrifica per salvare l’umanità intera. Allo stesso tempo, seguendo un arco narrativo opposto, Capitan America, prima soldato integro e implacabile, quasi perfetta personificazione del Super-Io, alla fine sceglie di posare lo scudo con cui ha difeso il mondo per quasi un secolo e finalmente dedicarsi alla propria felicità.

Attualmente ci troviamo nella Quarta Fase dell’MCU, e Doctor Strange nel multiverso della follia inaugura una nuova Saga, quella che da molti viene definita Saga del Multiverso, proprio per l’introduzione di questo concetto, molto familiare ai lettori di fumetti americani e più o meno sconosciuto a tutti gli altri. L’idea di base è che quello che vediamo e viviamo come unica realtà possibile è solo una delle molte che esistono in contemporanea. In pratica ci sono infinite versioni di noi, che vivono infinite vite diverse in infiniti mondi.

Il multiverso aggiunge un grandissimo livello di complessità a quanto visto finora. Tutto è possibile e la storia raccontata non è più la verità, ma basta cambiare taglio, spostarsi di un metro ed ecco che ogni cosa muta: il mondo attorno, i personaggi e quello che credevamo di sapere di noi stessi non ha più valore.

Per la comprensione di uno qualsiasi dei film attuali serve, ovviamente, avere più o meno chiare le altre fasi che precedono questa: la quarta fase è difatti quella di massima espansione finora ed inizia dando per scontato eventi molto grandi, narrati nella Saga dell’Infinito.

La prima Fase è iniziata poco più di dieci anni fa, con l’arrivo al cinema di Ironman, e comprende i primi sei film, nei quali si esplorano le origini dei primi eroi come Ironman, Thor e Capitan America e culmina con la creazione del primo gruppo di Supereroi, gli Avenger. In questa fase si è ancora piuttosto lontani dall’idea di un universo narrativo iperconnesso, con trame orizzontali in stile serie TV, e i film che lo compongono somigliano ai precedenti tentativi di portare su schermo eroi Marvel (ad es gli Spiderman di Raimi) e DC (i vari Batman). In pratica si può ancora prendere un singolo film e guardarlo senza preoccuparsi troppo del resto.

Nella fase due si espandono le storie dei tre supereroi principali, ossia Ironman, Capitan America e Thor e si aggiungono all’appello altre figure, come quella di Antman, c’è inoltre il primo incontro con Thanos e l’inzio della Saga dell’Infinito.

La fase tre è forse la più famosa e la più lunga, poiché svolge e chiude la saga dell’Infinito, aprendo una nuova era, quella nella quale ci troviamo adesso. I grandi eroi sono morti e bisogna andare avanti, tenendo conto del loro sacrificio. A partire dalla terza fase non è più possibile ignorare gli eventi precedenti e se si vuole stare al passo bisogna mettersi in regola con i prodotti precedenti. Credo che questo carattere espulsivo sia parte del successo dei film presso gli adolescenti. Si crea infatti un mondo estremamente dettagliato, che ha un proprio linguaggio da cui o si è dentro o si è fuori, come in un gruppo e, poiché i film e le serie sono veramente tanti, è facile che ad essere esclusi e a rimanere sulla porta siano proprio gli adulti, che non hanno tanto tempo per comprendere. Così i Marvel sono anche un catalizzatore collettivo dell’appartenenza ad una generazione, che in questo modo si differenzia dalle precedenti.

Veniamo dunque al film.

Le premesse di Doctor Strange sono quelle già elencate: siamo in un mondo post Thanos, in cui si affrontano minacce nuove ed il buon dottore è destinato a diventare la figura chiave attorno a cui si organizza il nuovo gruppo di eroi.

In Spiderman: No way home abbiamo visto come l’incantesimo di Strange abbia aperto il Multiverso, generando gravi conseguenze, per gestire le quali Steven chiede l’aiuto di Wanda, ignorando che sia lei la vera causa dei problemi.

Wanda, infatti, sta cercando un modo per riavere i suoi figli, creati da lei stessa e poi persi nel suo periodo a Westview.

Strange e Wanda sono le figure perno di questa storia ed entrambi mettono in scena i loro traumi: la perdita dei figli e dell’amato Visione per lei e l’incapacità di vivere una relazione per lui. Il Multiverso è il teatro attraverso cui potranno risolverli, nell’esplorazione dei lati più cupi.

Wanda, infatti, distrutta ed emotivamente spezzata, si trasforma in Scarlet Witch e si mette alla ricerca del Darkhold per eseguire il dreamwalking, ossia l’abilità di controllare il corpo di una propria variante. A tale scopo seleziona quella che abita su Terra-838 e che vive una tranquilla vita di periferia con i propri bambini. Scopo di Wanda è di impossessarsi del potere di America, un’adolescente in grado di viaggiare attraverso i vari mondi, in modo da sostituirsi alla sua variante e finalmente ricongiungersi con Billy e Tommy. America, difatti, è l’unica a non avere copie: unica della sua specie, esiste soltanto in un singolo frammento di realtà.

Doctor Strange ed America cercano così di trovare il Libro dei Vishanti, magico artefatto in grado di contrastare il Darkhold, ma, nonostante tutti gli sforzi, il potere di Scarlet Witch è troppo forte ed America non riesce a sconfiggerla. L’unica alternativa che le rimane è quella di trasportarla su Terra-838, facendo così vedere a Billy e Tommy la sua malvagità. La reazione accorata dei figli sconvolge a tal punto Wanda, che decide di distruggere il Darkhold, sacrificandosi a tale scopo.

Il film è di forte impatto e si presta a moltissimi livelli di lettura, tuttavia vorrei richiamare l’attenzione su quello che a me sembra il tema di base dell’opera, ossia la ricerca dell’identità, fatto piuttosto complesso che impegna in modo particolare ogni adolescenza. Il Multiverso stesso è la rappresentazione delle infinite possibilità contenute nel Sé, che possono o non possono esprimersi a seconda delle esperienze di vita e delle scelte. Non è un caso difatti che gli autori abbiano deciso di inserire il personaggio di America, vera e propria adolescente, impegnata in una fuga precipitosa da una realtà all’altra, mentre tenta di capire chi è e a cosa servono i suoi poteri.

Nel frattempo anche Strange e Wanda cercano di rispondere alla dolorosa domanda: “ed io chi sono?”, incontrando le proprie varianti e invidiandole con una rabbia dolorosa, come Wanda, oppure fissandone con terrore i lati più oscuri, come Strange. La prima finestra sulle altre realtà è data dai sogni: quel che sogniamo sono altre versioni di noi, impegnate a fare qualcosa in un altro universo. Così sappiamo che ogni sogno è vero e reale, proprio come la psicoanalisi ha sempre sostenuto. Attraverso i sogni veniamo in contatto con Defender-Strange ed America proprio nell’apertura del film e sono sempre i sogni a mostrare a Wanda che in altre realtà i propri figli esistono ancora.

I sogni dapprima e i viaggi nel Multiverso poi, mostrano difatti a Wanda una vita diversa accanto a Billy e Tommy, come una finestra sul desiderio, mentre Steven tocca con mano la propria inconfessata brama di potere, che in altre realtà gli fa praticamente distruggere il mondo.

Colpisce che le ferite più profonde, nonostante le infinite variazioni e tutto lo svolgersi della narrazione, risultino alla fine le uniche irrisolvibili: Strange non ha conservato la sua storia con Christine in nessuna realtà conosciuta, Wanda deve riconoscere l’irrimediabilità della propria perdita: le sue persone care non possono tornare. Ciò esprime molto bene la moltitudine di potenzialità e di contro anche il limite a se stessi che nell’adolescenza si impara a conoscere, nonché il compito più importante che ogni ragazzo e ragazza si trova ad affrontare, senza il quale non è possibile la crescita: il lutto dell’onnipotenza infantile, il lutto del “tutto mi è possibile”.

È soltanto accettando di vivere una vita inevitabilmente limitata che i protagonisti possono uscire dall’infinita distruzione nella quale erano precipitati e che rischiava di far finire l’intero universo. Facendo il lutto di sé, sia America che Strange possono infatti continuare ad andare avanti e Wanda può fare ammenda della propria crudeltà ritornando ad essere l’eroina che avevamo conosciuto nei film precedenti.

Alla fine la domanda “chi sono?” resta forse aperta, come in ogni buon prodotto che si rispetti, poiché la risposta non sta tanto in uno specifico fatto, quanto nel processo stesso del cercare, così come sanno bene i nostri ragazzi e ragazze, che ogni giorno affrontano la medesima questione.

Jeammet Ph. (1980), Réalité interne, réalité externe. Importance de leur specificité et de leur articulation à l’adolescence. Rev. fran. Psychanal., 44, 3-4, 481-521.

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