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L’UNIVERSITÀ IN LOCKDOWN

Viaggio attraverso le testimonianze dei protagonisti e delle protagoniste reali di un mondo universitario virtuale

del dott. Domenico Capogrossi
Psicologo-Psicoterapeuta Individuale e di Gruppo,
Psicoanalista Interpersonale e Gruppoanalista
Servizio di Psicologia AIED

e della dott.ssa Veronica D.M. Levanti
Psicologa-Psicoterapeuta Psicoanalitica dell’Infanzia,
dell’Adolescenza e della Coppia genitoriale
Membro associato SIPsIA
Dottoressa di ricerca in Psicologia dello Sviluppo
Servizio di Psicologia AIED L’Aquila
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“Le Università sono fra i pochi luoghi in cui le persone si incontrano ancora faccia a faccia, in cui giovani e studiosi possono capire quanto il progresso del sapere abbia bisogno di identità umane reali, e non virtuali…”. Sono le parole di Umberto Eco, pronunciate nell’Aula Magna di Santa Lucia il 20 settembre del 2013, in occasione delle celebrazioni per i venticinque anni della Magna Charta Universitatum. Parole che adesso suscitano un misto di frustrazione e malinconia, specialmente quando lo sguardo inciampa sull’ultimo vocabolo, inconsapevolmente profetico: virtuali. Perché proprio virtuali, negli ultimi mesi, sono divenuti gli incontri fra le persone che popolano e animano questo mondo, ma nessuno – se non loro – pare essersene accorto.
L’Università sembra essere stata vista come l’unico luogo di crescita e di formazione a non aver risentito particolarmente della quarantena: studenti/esse e professori/esse sono sembrati/e già pronti/e, già abituati/e. È sembrato tutto facile, fuori. Ma dentro? Come è stata vissuta, dentro l’Università, la perdita degli incontri faccia a faccia, la necessità di ricreare aule e laboratori dentro le proprie stanze, in mezzo ai propri familiari o, a volte, lontani/e da casa?
pcSpinti dal desiderio di dare voce a chi questa improvvisa metamorfosi l’ha vissuta sulla propria pelle, abbiamo deciso di intervistare studenti, studentesse, professori e personale amministrativo di varie Università, aquilane e non solo, cercando di dare vita ad un coro di voci sufficientemente variegato, anche se sicuramente non esaustivo. A tutti e tutte abbiamo posto tre domande: 1. Come hai vissuto la chiusura dell’Università? 2. Come si è riorganizzata l’Università e come ti sei riorganizzato/a tu rispetto all’Università? 3. Puoi evidenziare vantaggi e svantaggi di questa situazione?
Noi ci siamo immersi nei racconti di queste persone, nelle loro incertezze e nella loro tenacia, uscendone trasformati. Ci auguriamo che questo viaggio emozioni e trasformi anche voi…

GIORGIA, 19 anni, originaria della provincia di Catania, studentessa, Corso di Laurea Triennale in Infermieristica, Università degli Studi di L’Aquila
Sicuramente all’inizio è stata una bella notizia: poter tornare finalmente a casa dopo due mesi di lontananza dagli affetti più cari, oltre che godere di una settimana di pausa dopo la fine della sessione invernale! Questo iniziale entusiasmo è poi svanito nel momento in cui l’Università si è trasformata e si è ridotta ad un semplice mettersi davanti al computer, senza poter avere quei contatti e quei rapporti fondamentali nel periodo universitario. Ogni giorno mancava quella complicità e, perché no, quel momento di ritrovo tra i corridoi e le aule.
L’Università non può fermarsi. Forma e istruisce ognuno di noi nel migliore dei modi e per poter continuare a svolgere il suo fondamentale compito ha dovuto ricorrere alla telematica. È stato un approccio totalmente diverso rispetto alla visione della classica facoltà, con i libri enormi e il professore al microfono, che non è stato accolto subito nel migliore dei modi. Io, personalmente, come tutti gli studenti, ho dovuto accettarlo. Le giornate sono cambiate, non sembrava nemmeno di essere una studentessa, sembrava tutto un gioco. Ti svegli la mattina e speri che sia tutto un sogno, che si possa ritornare alla normalità che tanto si desidera.
Sicuramente tra i vantaggi principali c’è una pausa dalla vita frenetica, che ti richiedeva di partecipare alle lezioni con puntualità e precisione. Di rilevante importanza è anche la possibilità di registrare la lezione, permettendoti di poterla risentire quando necessario. Purtroppo, si accostano anche degli svantaggi: la mancata compliance tra studenti e docenti. La difficoltà nell’eseguire il tirocinio, fondamentale per il Corso di Laurea in Infermieristica. Ed infine, ma non meno importante, l’impossibilità di fare gli esami in presenza, l’impossibilità di crescere e/o di imparare dagli errori.
 
VALENTINA, 25 anni, aquilana, studentessa, Corso di Laurea Magistrale in Governo e Direzione di Impresa, Università degli Studi di Firenze
La chiusura delle Università non è stata semplice da digerire sotto diversi punti di vista. Per quanto riguarda me, studentessa fuori sede, sono stata costretta a tornare a casa mia, perché l’alternativa sarebbe stata rimanere fuori, ma senza nessun appoggio e nessun aiuto in una situazione straordinaria, che si è verificata in maniera del tutto inaspettata. È stato difficile gestire le lezioni a distanza, e non più in presenza, non soltanto per i vari problemi tecnici, ma anche e soprattutto per il carico di lavoro richiesto dai professori, in questa situazione, che si è rivelato del tutto amplificato rispetto al solito. Ci è stato ugualmente richiesto di svolgere dei lavori di gruppo, anche importanti, in una condizione che non facilitava l’interazione. Per di più, le ore passate davanti agli schermi si sono triplicate rispetto al solito e sono diventate totalmente ingestibili.
L’Università si è riorganizzata impostando le varie lezioni online, tra dirette e video registrati. Quello che non è stato considerato, però, è che la didattica a distanza non ha sicuramente garantito un livello di concentrazione paragonabile a quello in aula. Molti professori, inoltre, non hanno adottato la linea delle lezioni in diretta, cosa che ancora di più ha ridotto l’interazione diretta con gli studenti. Per non parlare del tempo speso, da noi studenti, nel trascrivere le videoregistrazioni dei professori. Io mi sono riorganizzata in modo tale da poter restare al passo con i vari contenuti, ma non senza difficoltà. Non è stato, peraltro, semplice adattare gli spazi domestici allo studio, data la chiusura di strutture adeguate quali aule studio e biblioteche, fondamentali per l’organizzazione, la concentrazione e la vita di noi studenti universitari.
Per quanto riguarda i ‘vantaggi’, l’unica cosa che mi viene in mente è la possibilità di poter passare del tempo con la propria famiglia, che la condizione di studente fuori sede, ovviamente, permette in maniera molto minore. Altri vantaggi purtroppo non riesco a trovarne, sia dal punto di vista emotivo che dal punto di vista economico, in quanto questa pandemia ha inevitabilmente condizionato la vita di tutti noi, cambiando radicalmente le nostre abitudini. Il fatto di essere stati rinchiusi in casa per mesi, senza la possibilità di avere rapporti sociali, per quanto mi riguarda avrà comunque delle conseguenze e delle ripercussioni su molti aspetti non trascurabili. Lo studio, da una parte, ci ha permesso di poter impiegare il tempo in quarantena, ma dall’altra non ci ha lasciato molto spazio da dedicare ai nostri hobby, per chi ne ha. Da non sottovalutare, inoltre, il vissuto emotivo di molti di noi, continuamente tempestati dai media (online e in TV), che hanno contribuito a rendere questo periodo maggiormente stressante. Tra gli svantaggi aggiungo, infine, anche il fatto che, a livello nazionale, nessuno abbia dato importanza alla situazione degli affitti degli studenti universitari, impossibilitati ad utilizzare la casa in una regione diversa, mentre si è pensato ad un bonus per le vacanze o, in generale, agli studenti di scuole medie e superiori molto più che a noi universitari…
 
ALESSIA, 25 anni, aquilana, studentessa, Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Applicata, Clinica e della Salute, Università degli Studi di L’Aquila
La chiusura dell’Università inizialmente l’ho vissuta non molto bene, era tutto un punto interrogativo, non sapevo come organizzare il mio piano di studi, quali esami dare e soprattutto come darli. Spero che a settembre torni tutto alla normalità, con la possibilità di ritornare finalmente in sede, dare gli esami (sia in modalità scritta che orale) e assistere alle lezioni fisicamente, ovviamente sempre con le dovute precauzioni.
L’Università in questo periodo ha messo a disposizione una piattaforma chiamata Teams, che è possibile scaricare tramite computer o direttamente dal cellulare, e che consente di seguire le lezioni online. Gli esami della sessione estiva verranno svolti sempre online sulla piattaforma Teams in forma orale e forse alcuni in forma scritta, è ancora tutto da vedere. I rappresentanti degli studenti del dipartimento hanno fatto richiesta al Rettore e a tutti i Direttori del dipartimento di trovare modalità adeguate e giuste per sostenere gli esami, di attuare un’indagine per verificare la possibilità di avere reti internet veloci da parte degli studenti e di individuare modalità flessibili di svolgimento degli esami. Attualmente ho cercato di programmare il mio piano di studi dando esclusivamente esami già stabiliti in precedenza come orali, in quanto preferisco dare gli esami scritti non appena ci sarà la possibilità di ritornare in sede.
Riguardo ai vantaggi derivati da questa situazione, posso dire che il fatto di avere la possibilità di seguire online le lezioni tramite la piattaforma Teams ha permesso a tanti studenti (soprattutto per chi è fuori regione e non ha mai avuto l’opportunità di seguire le lezioni in sede) di seguirle direttamente da casa senza alcuno spostamento. L’Università inoltre ha prorogato il pagamento della seconda rata universitaria da maggio a giugno e questa è sicuramente una buona cosa per chi in questo periodo ha avuto difficoltà economiche a causa della chiusura di tutte le attività lavorative. Altro vantaggio importante è che personalmente ho avuto la possibilità di organizzare le mie giornate, dividendo la quotidianità tra lezioni online, studio, aiutare mia madre nelle pulizie di casa e fare attività fisica. Ho riassaporato il tempo per quello che è! Questo mi rende davvero felice.
Gli svantaggi di questa situazione riguardano, in primis, il fatto che purtroppo non si abbia un contatto diretto con i professori e con gli studenti, potendo magari scambiare qualche chiacchiera o confrontarsi tutti insieme riguardo a quanto detto a lezione. Anche per gli stessi professori è difficile ricevere un feedback positivo da parte di noi studenti. Io credo che il contatto visivo diretto sia una cosa fondamentale. Un’altra cosa è che seguire tutte le lezioni online richiede di stare tante ore al computer e questo potrebbe arrecare qualche problema. Altro svantaggio riguarda il fatto che alcune volte potrebbe saltare la connessione mentre si sta seguendo una lezione online e perdere il filo del discorso del professore.
 
LUCA, 26 anni, aquilano, studente, Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile, Politecnico di Torino
Non ho sofferto particolarmente la chiusura fisica dell’Università, visto che avevo finito di seguire i corsi. Inoltre, essendo abituato a studiare spesso in casa o in aule studio esterne alla struttura, non avrei avuto motivo di recarmici.
Hanno riorganizzato la didattica, fornendo corsi on-line, e hanno predisposto un recupero esami per coloro che non hanno potuto finire la sessione a causa della chiusura improvvisa, tra i quali io. Ho avuto un po’ di tempo in più per preparare un esame che ho poi recuperato qualche settimana fa.
Il vantaggio è stato sicuramente il poter usufruire di servizi on-line, che sono molto comodi per l’organizzazione dello studente in vista delle successive sessioni d’esame. Gli svantaggi sono stati quello di non poter vivere il contesto sociale universitario così come eravamo abituati e la mancanza di notizie certe (anche dopo un lungo periodo di tempo dall’inizio del lockdown) circa scadenze, date/ modalità d’esami, svolgimento tesi e mobilità estera.
 
GIANLUCA, 25 anni, originario di Trapani, studente in Erasmus a Glasgow, Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di L’Aquila
Sono partito per Glasgow alla fine di febbraio, per effettuare un’esperienza di Erasmus+ Traineeship (un tirocinio che aveva l’obiettivo principale di svolgere e sviluppare la mia tesi di laurea) presso un ospedale oncologico. Nel periodo che è andato dal primo al 23-24 di marzo, all’incirca, sono stato all’interno della struttura in maniera relativamente normale, andando quasi quotidianamente a sviluppare il mio progetto e a raccogliere i dati. La chiusura dell’Università l’ho vissuta particolarmente male. Più o meno nel periodo di fine marzo, il mio supervisor mi comunica che non sarei potuto più andare presso la struttura ospedaliera per motivi di sicurezza sia mia che dei pazienti. L’ho vissuta abbastanza male, mi sono sentito abbastanza perso nel niente, perché ero partito con l’idea di ‘scappare’ dalla situazione che si stava sviluppando in Italia – l’epidemia all’epoca era solo in Lombardia e nessuno pensava ad un completo lockdown del Paese – e mi sono trovato in un’altra Nazione, nella quale si è poi sviluppata ugualmente l’epidemia. Anche lì, quindi, c’è stato un lockdown, hanno chiuso tutto e mi sono trovato con la vita un po’ bloccata, con un progetto di vita bloccato.
Il giorno in cui mi è stato comunicato che non sarei più potuto andare in ospedale, il mio supervisor e i colleghi che collaboravano con me mi hanno promesso che saremmo riusciti a trovare una modalità di lavoro di tipo telematico, riuscendo quindi a collaborare e a completare il mio progetto di tesi nonostante la distanza. In realtà, questo è stato possibile solo nella prima settimana, sia perché loro sono stati impegnati nella gestione di una situazione particolarmente difficile (ci sono stati dei contagi nello staff infermieristico all’interno della stessa struttura ospedaliera) sia perché io, una volta completata la raccolta dei dati, avrei dovuto ricevere delle direttive da parte dei supervisor e collaborare direttamente con loro nella raccolta di ulteriori dati e nella successiva elaborazione degli stessi, cosa che si è rivelata impraticabile. Ho deciso, perciò, di sfruttare al meglio il tempo rimasto vuoto per studiare, ma nel complesso è stato un periodo quasi perso.
Vantaggi della situazione in quel momento ce ne sono stati sostanzialmente pochi. L’unico punto di vista ‘positivo’, che mi ha spinto a rimanere nella sede estera in quel periodo e a non trovare soluzioni per tornare a casa, è stato il fatto che comunque avevo conosciuto delle brave persone in casa ed è stata una buona occasione per poter praticare l’inglese. Gli svantaggi sono stati, in realtà, molteplici. Il primo è stato l’impossibilità di avere una vita sociale normale… E’ vero che ho fatto amicizia, ho sviluppato delle relazioni all’interno del mio ambiente casalingo, ma il non poter uscire, il non poter andare a visitare dei posti – cosa importantissima, per me, essendo all’estero – è stato un grande colpo al cuore. Un altro importante svantaggio è stato quello di non aver potuto vivere, veramente, la vita ospedaliera, e di non aver potuto conoscere il modus operandi di questa struttura e dei medici che vi operano all’interno. Ed infine, l’ultimo ma forse più grande svantaggio è stato quello di aver iniziato un progetto di tesi, di averci investito del tempo e di dover rinunciare molto probabilmente al progetto poiché non sono riuscito a svilupparlo nel modo adeguato, a causa dell’interruzione, e quindi dovrò probabilmente cercare un ulteriore progetto, nelle prossime settimane, con un professore a L’Aquila e non con la sede estera.
 
ELEONORA, 25 anni, originaria della provincia di Lecce, laureanda, Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università degli Studi di L’Aquila  
Mi è dispiaciuto dal punto di vista relazionale. Vivere l’Università fisicamente è ben diverso dal viverla telematicamente. Ti manca ogni piccola cosa: parlare con le colleghe universitarie, prendere un caffè, studiare insieme, etc. A me manca un po’ tutto, anche poter svolgere gli esami in presenza. Da questa esperienza che stiamo vivendo, ho imparato che non bisogna mai dare nulla per scontato, anche nelle piccole e semplici cose.
L’Università si è organizzata velocemente attraverso la modalità della didattica a distanza. Fin da subito abbiamo utilizzato un programma chiamato “Microsoft teams”, sia per le lezioni sia per il tirocinio indiretto e i laboratori. In linea generale, anche i professori sono stati sempre disponibili,  per qualsiasi dubbio o incertezze sono sempre stati pronti a rispondere ad ogni nostra domanda attraverso il ricevimento online. Nel mio corso di laurea, sono previste delle ore di tirocinio diretto, sia nella scuola dell’infanzia che nella scuola primaria. Da questo punto di vista, ci sono state delle problematiche, soprattutto per noi laureandi, che dovendo completare le ore eravamo fermi e non sapevamo come muoverci. Solo alla fine di aprile abbiamo avuto la possibilità di riprendere il tirocinio in modalità DAD. In questo caso, l’Università, per venirci incontro e cercare di recuperare, ha previsto una serie di modalità, ma non tutte le scuole hanno accettato. In generale, mi ritengo fortunata perché la scuola in cui sto finendo di svolgere il tirocinio si è dimostrata disponibile nei confronti di noi tirocinanti, ma non solo, anche le tutor della scuola dell’infanzia e della scuola primaria mi sono venute incontro fin da subito.
Per lo più, uno dei principali vantaggi è stato quello di avere la possibilità di seguire tutte le lezioni, cosa che in presenza è sempre risultato più complicato, soprattutto per chi lavora, ma anche per via dei laboratori e dei tirocini. Gli svantaggi sono dovuti al cambiamento di modalità d’esame (da scritto ad orale) e alla scarsa comunicazione riguardo alla modalità di svolgimento di alcuni esami. Inoltre, essendo una studentessa fuori sede ed essendomi trasferita a L’Aquila per studiare, condivido una casa con altre ragazze. Nonostante la situazione ed il fatto che fossi tornata nella città in cui ho la residenza, ho continuato e sto continuando a pagare l’affitto mensile, comprese le bollette. Da questo punto di vista mi sento completamente abbandonata, perché nessuno ne parla e ci viene incontro.
 
GINETTE, 27 anni, originaria della provincia di Cosenza, neolaureata, Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Applicata, Clinica e della Salute, Università degli Studi di L’Aquila
Parto dal periodo immediatamente precedente alla chiusura, in cui mi stavo preparando per la laurea e già mi sentivo in ansia rispetto alla definizione della data e alla possibilità o meno di far partecipare i miei familiari… Io penso il Coronavirus sia stato sottovalutato da tutti, in primis da me, perché l’abbiamo visto come una cosa distante da noi, che stava accadendo dall’altra parte del mondo… Nel momento in cui è arrivato in Italia ed è stata colpita la Lombardia, comunque il centro-sud è sembrato lontano, in salvo, e questa visione l’ho percepita un po’ anche all’interno dell’Università, perché la vita universitaria continuava tranquillamente allo stesso modo, senza che nemmeno se ne parlasse. Il momento in cui è iniziato l’allarmismo è coinciso con il periodo della laurea e il progetto iniziale è stato quello di svolgere la laurea all’Università, con la presenza di massimo quattro parenti per ogni laureanda/o, osservando un orario preciso senza creare affollamenti, etc. E già qui bisognava fare una cernita fra gli affetti ed era demoralizzante, era una responsabilità che in quel momento non si è capaci di prendere…
La situazione poi è precipitata del tutto, quindi “lauree telematiche: scaricate Microsoft teams”, ma questa è una piattaforma abbastanza pesante e se non hai un computer che la supporta rischi di non accedere… È stato questo il mio caso, perché il pc l’ho acquistato nei primi anni di Università, e una settimana prima della laurea, fissata poi per il 3 aprile, mi sono trovata ad accedere per fare una prova e per vedere se il video e l’audio funzionassero… ma ovviamente il mio computer non supportava né le immagini video né l’audio. Mi è stato detto da un docente di fare delle prove, durante la settimana, perché senza l’audio avremmo compensato chiamandoci al telefonino, ma senza il video avrei dovuto rimandare la seduta di laurea… Alla fine ho comprare velocemente un nuovo computer online, con la paura che non arrivasse in tempo, dati i ritardi nelle consegne durante la quarantena. L’unico dispositivo che avrebbe potuto sostituire il pc era lo smartphone, ma io portavo una tesi sperimentale con l’analisi dei dati e dovevo proiettare delle tabelle e dei grafici per spiegare il mio lavoro, ma questo con il telefonino non potevo farlo. È stata, penso, una delle settimane più brutte, perché non avevo gli strumenti per gestire questa situazione tanto dal punto di vista emotivo quanto da quello pratico e rispetto a questo, forse, l’Università si è un po’ deresponsabilizzata. Alla fine il computer è arrivato due giorni prima della laurea, ho fatto tutte le prove del caso e mi sono organizzata per svolgere la seduta di laurea da casa: io, il computer e il mio compagno ad assistere.
Il vantaggio della laurea online è stato, forse, quello di affrontare l’esame in maniera più tranquilla e concentrata, senza pressioni e distrazioni. Dal punto di vista emotivo, però, mi è dispiaciuto raggiungere l’obiettivo della specialistica lontana dai miei genitori, che tanti sacrifici hanno fatto per me, ma non me la sono sentita di tornare a casa per non mettere in pericolo la mia famiglia. Festeggerò con loro quando sarà possibile… Durante la discussione, mi sono organizzata per avere i miei parenti vicini attraverso WhatsApp: hanno assistito in videochiamata. Poi, sempre in videochiamata, ho festeggiato tutto il giorno anche insieme ai miei amici! Il periodo della laurea, da un certo punto di vista, è stato perfino migliore rispetto alle settimane successive, in cui è subentrata l’incertezza per il tirocinio post lauream, fondamentale per accedere all’Esame di Stato. Ho ben compreso le difficoltà dei primi tempi e l’Ordine ha stabilito una sanatoria delle ore di tirocinio, ma io non ho avuto la possibilità di accedere alla struttura designata per più di due mesi, con la sola opportunità di un contatto settimanale con il mio tutor, che mi ha assegnato del materiale da studiare. E sono stata fortunata, rispetto ad alcune mie colleghe! Il fatto è che io pago un affitto, qui a L’Aquila, per poter svolgere un tirocinio all’interno di una struttura nella quale non ho ancora avuto accesso… e l’Università ha delegato la questione alle strutture, senza offrirci un vero supporto anche a distanza di diverse settimane, nonostante i nostri ripetuti solleciti via e-mail. Nel frattempo, mi sono iscritta al corso dei 24 CFU (l’Università ci dà l’opportunità di sostenere gli esami integrativi gratuitamente) e darò i primi esami online a giugno. Fortunatamente, dopo settimane di silenzio ho ricevuto, pochi giorni fa, una buona notizia sul tirocinio: a partire dalla seconda settimana di giugno dovrei poter entrare in struttura 2/3 volte a settimana e svolgere il resto del lavoro in modalità telematica. Non vedo l’ora!
 
PROF. ENRICO PERILLI, Docente di Psicologia Dinamica, Facoltà di Psicologia, Università degli Studi di L’Aquila
Ho vissuto la chiusura dell’Università come un atto necessario e dovuto. L’apprensione per l’eventuale propagazione della pandemia anche nel nostro territorio ci ha indotto a non avere esitazioni sulla chiusura. Immediatamente sono tornati alla memoria i giorni del post-terremoto, emergenza vissuta dal nostro Ateneo che, a distanza di anni credo di poterlo dire, ha retto bene, rimanendo in vita. In realtà le vicende sono molto diverse e subito lo abbiamo capito. Certo lo sconvolgimento dei ritmi lavorativi, didattici, di ricerca, con conseguente ridefinizione e soprattutto rallentamento di tanti progetti è stato notevole.
L’Università si è organizzata con modalità online e a distanza. Abbiamo ripreso le lezioni online, le riunioni degli organismi accademici e le altre attività sempre online. Attualmente stiamo sperimentando una piccola riapertura, i laboratori e le attività di ricerca sono ripartiti dal vivo, sempre nel rispetto delle misure di sicurezza. La didattica e, in estate, gli esami sono sempre online almeno per il mese di giugno. Per l’autunno l’orientamento di tutti gli Atenei italiani è di tornare alla normalità, condizione sanitaria permettendo. Personalmente sono felice di questo ritorno alla normalità in quanto le modalità online, per quanto necessarie ed utili, soprattutto dal punto di vista didattico rappresentano una menomazione. Illustri intellettuali come Asor Rosa, Cacciari, Agamben e tanti altri, hanno rivolto un appello al ministro sottolineando che la complessità del rapporto didattico, della relazione docente-discente e degli studenti tra loro, non può essere sostituita permanentemente dalla didattica a distanza. Per la ricerca e l’attività clinica la presenza è ancora più necessaria. Al contrario alcune attività gestionali, come i Consigli di Facoltà ad esempio, possono trovare nel funzionamento online una modalità più efficace. Io ho cercato di adattarmi a questa nuova prassi ma devo dire che la didattica in assenza degli studenti, avendo di fronte un monitor, è molto stancante e frustrante.
Dal punto di vista didattico l’unico vantaggio è rappresentato dalla possibilità che hanno gli studenti fuori sede di ascoltare le lezioni,. Per il resto la didattica a distanza, al pari della chiusura degli edifici e degli spazi universitari, è una grande privazione culturale, relazionale, sociale. La città stessa ha bisogno dell’Università e della vita universitaria, dal punto di vista sociale, economico, culturale.
 
PROF. VINCENZO STORNELLI, Presidente e Docente del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica, Università degli Studi di L’Aquila
Non è stato un periodo facile e non lo è ancora. Passo molto tempo con i miei studenti ed i colleghi con cui svolgo attività di ricerca: ritrovarsi a farlo solo in modalità telematica, con tre piccoli bimbi che, in un momento così delicato, chiedono sempre più attenzione, ha stravolto completamente la mia giornata. Con mia moglie abbiamo riorganizzato la nostra quotidianità familiare, in modo da poter gestire in maniera efficiente sia l’attività didattica che l’attività di ricerca, che non si sono mai fermate.
L’Università dell’Aquila si è mossa immediatamente ed in maniera ordinata per permettere ai propri studenti di completare il semestre in corso continuando a garantire, seppur in una modalità non in presenza, una formazione di alta qualità. Infine, l’Ateneo si è organizzato per permettere, nell’immediato, di sostenere sia gli appelli di laurea che gli esami dei nostri studenti. Nonostante ritengo che non si possa e non si debba prescindere da una didattica in presenza, in famiglia abbiamo riorganizzato la casa, gli spazi ed i tempi della giornata, per permetterci un cosiddetto “telelavoro” efficiente: nel mio caso teledidattica. Anche l’attività di ricerca è andata avanti –  nonostante la mancanza di strumentazioni laboratoriali sia stato un impedimento importante – grazie allo spirito di sacrificio ed alla passione per il lavoro.
Presiedo il Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica ed insegno in corsi dove l’importanza di svolgere attività sperimentali e di laboratorio è notevole. Queste attività garantiscono allo studente una formazione completa e competitiva, allorché si avvicina al mondo del lavoro. Per i motivi suddetti ritengo che uno dei grandi svantaggi sia stato proprio quello di non poter svolgere queste attività. Tra i vantaggi – l’ho sempre sostenuto e l’emergenza vigente lo ha sottolineato – evidenzio invece la possibilità di svolgere riunioni di lavoro telematiche, che consentono di ridurre gli spostamenti (mi muovo spesso in auto), nella quasi totalità dei casi senza inficiare la qualità della riunione stessa.
 
PROF. STEFANO NECOZIONE, Docente di Epidemiologia, Dipartimento MESVA, Università degli Studi di L’Aquila
Ho vissuto la chiusura dell’Università un po’ come la chiusura delle Chiese. L’analogia non è forzata, dal momento che spesso l’Università è stata definita il tempio laico del sapere. In realtà l’Università non è mai stata chiusa, ma come per la Chiesa, ha trasferito le sue funzioni nel “non luogo” per eccellenza: la rete! Io ho sentito la mancanza dei rapporti umani con gli studenti, con i colleghi e dei luoghi fisici che permettono questi rapporti: le aule, i laboratori, le biblioteche. Mi è mancata, insomma, la dimensione comunitaria, che è quella che poi distingue l’Università da tutte le altre forme – istituzionali o meno – in cui si produce e si trasmette sapere nella nostra società liquida.
Credo che l’Università dell’Aquila abbia rapidamente fatto fronte all’emergenza, trasferendo telematicamente la sua attività formativa. Già il 31 marzo, per quanto riguarda Medicina, si sono svolte con successo le sedute di laurea in via telematica. Più difficile è stata la continuazione dell’attività di ricerca, impossibile senza laboratori e strutture accessibili. Io ho lavorato da casa, facendo lezioni in teledidattica. Ho cercato un maggior coinvolgimento degli studenti, sfruttando l’interattività dello strumento telematico. Ma, contrariamente a quanto si possa pensare, non è stato facile né tantomeno immediato.
Credo che questa esperienza possa rappresentare un punto di svolta per l’Università e la società in generale. Vantaggi e svantaggi rappresentano due facce della stessa medaglia. I vantaggi, se estremizzati ed esasperati nella loro interpretazione, finiscono per diventare degli svantaggi. La facilità delle connessioni che la rete permette, rischia di chiudere le persone in bolle comunicative superficiali e autoreferenziali. Per questo temo sia gli entusiasti – nell’Università quelli che vorrebbero trasferire tutte le funzioni formative in modalità telematiche – sia gli ipercritici, che ne vedono solo i limiti disumanizzanti. A mio avviso, non si potrà tornare al passato, ma si dovrà pensare ad un nuovo inizio, facendo dell’incertezza un’opportunità per ricominciare. L’importante è che questo avvenga in modo condiviso, attraverso una discussione diffusa e partecipata. Al di là di tutte le cautele ancora necessarie, mi sembra di avvertire, soprattutto negli studenti, un desiderio di ritorno alla vita, alla socialità, alla partecipazione che lascia ben sperare per il futuro.
 
DOTT.SSA ALESSANDRA DE SIMONE, Impiegata Amministrativa al Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche, Università degli Studi di L’Aquila
La chiusura è stata chiaramente una conseguenza delle misure restrittive messe in atto dal Governo nazionale a seguito di una situazione di emergenza sanitaria rientrando in un piano generale in cui tutti siamo stati chiamati a regole da rispettare e comportamenti responsabili da assumere, pertanto è stata un dovere e una necessità. L’Università però non è un posto ‘qualunque’. La chiusura di un luogo di cultura, di formazione, di ricerca e di aggregazione, quale essa è, chiaramente, coinvolge la sfera non soltanto lavorativa, pratica, amministrativa, ma anche emotiva, considerato il rapporto molto stretto con la città dell’Aquila, per la quale è stata il motore fondamentale della rinascita all’indomani del terremoto del 2009. Personalmente, essendomi formata in questa università, ed essendovi oggi impegnata come lavoratrice, ho percepito fin dai primi giorni l’impressione che qualcosa di importante e significativo nella mia vita si stesse interrompendo. Ricordo quando, uno dei giorni precedenti alla definitiva chiusura, ci siamo salutati con un carissimo collega con un lungo e commosso abbraccio come se avessimo avuto la sensazione che una parte delle nostre vite e del nostro modo di lavorare, da lì in avanti, non sarebbe stato più lo stesso.
L’Università si è immediatamente attivata per garantire la continuità sia didattica che amministrativa: dal punto di vista didattico, attraverso l’utilizzo di una specifica piattaforma online, è stato possibile erogare a distanza le lezioni dei corsi del II semestre, permettere lo svolgimento di sessioni di esame e persino delle sedute di laurea; la stessa piattaforma ha garantito la continuità delle riunioni degli organi collegiali. Dal punto di vista amministrativo gli uffici si sono organizzati collocando il personale quanto più possibile in lavoro smart presso i propri domicili, utilizzando in remoto gli stessi programmi in uso in Ateneo. Anche il personale sia tecnico che amministrativo ha potuto seguire sulla stessa piattaforma corsi online dedicati. Personalmente si è trattato di riadattare i miei spazi abitativi alla necessità di lavorare da casa, dotarmi di attrezzature hardware e software, reti di connessione, sistemi di messaggistica istantanea per poter essere più possibile in linea ed in contatto virtuale con i colleghi di lavoro, i docenti e gli studenti, adeguare i miei comportamenti e quelli dei familiari a nuovi ritmi ed orari. Insomma si è trattato di affrontare una specie di ‘rivoluzione’ non solo materiale, ma anche mentale, culturale e relazionale.
Lavorare a distanza e non fisicamente in ufficio sicuramente permette di ridurre lo stress che spesso si genera nelle relazioni in presenza sia con i colleghi che con l’utenza,  di svolgere le mansioni affidate in autonomia gestendo i propri spazi e le proprie tempistiche, di svincolarsi dal rispetto degli orari del cartellino, implica la capacità di organizzare il proprio tempo non solo per il lavoro ma anche per se stessi e la famiglia, infine, in una prospettiva non più emergenziale ma ordinaria, sicuramente permetterà di risparmiare spese extra come benzina, biglietti dei mezzi pubblici e parcheggi, penso soprattutto nelle grandi città. Il lavoro agile ci permette di semplificare numerosi procedimenti concretizzando quel processo di dematerializzazione richiesto alla pubblica amministrazione, ci costringe a pensare a uno snellimento e velocizzazione delle procedure e ad evitare passaggi spesso duplici e inutili.
D’altro canto, però, ho riscontrato il rischio di avere una reperibilità continua e di sovrapporre il lavoro alla vita privata, mi è capitato di lasciare il lavoro per riprenderlo successivamente avendo molteplici distrazioni familiari con una concentrazione minore e con il rischio di iniziare tutto da capo. Ho percepito maggiore solitudine nel lavoro dovuta a una minore iterazione con i colleghi, e quindi anche un minor apprendimento che si genera necessariamente quando, invece, c’è un confronto continuo in presenza. Il lavoro presso il mio domicilio ha pesato infine, aspetto non di poco conto, sulla mia economia in termini di aumento dei consumi delle utenze domestiche.
L’ideale pertanto sarebbe fare tesoro, nel futuro, dei vantaggi, ma senza dimenticare che l’Università è una comunità, fatta di persone e soprattutto di studenti: non poter fisicamente interagire con loro, ascoltare le loro storie, arricchirmi del loro vissuto è ciò che più mi è mancato in questi mesi. Rifletteva Emerson, filosofo e saggista statunitense: “Un individuo è un fascio di relazioni, un nodo di radici, il cui fiore e il cui prodotto è il mondo” (Ralph Waldo Emerson, Saggi, 1841-1844). Sono fiduciosa che si possa ripristinare nel tempo e con le necessarie misure di sicurezza anche questo importante aspetto.
 
 
 
 

“Una pausa dalla vita frenetica”, “Nessuno ha dato importanza alla situazione degli affitti degli studenti universitari”, “Un progetto di vita bloccato”, “A me manca un po’ tutto, anche poter svolgere gli esami in presenza”, “Ho riassaporato il tempo per quello che è!”, “Non poter vivere il contesto sociale universitario così come eravamo abituati”, “La mancanza di notizie certe”, “L’incertezza per il tirocinio post lauream, fondamentale per accedere all’Esame di Stato”, “La didattica a distanza, al pari della chiusura degli edifici e spazi universitari, è una grande privazione culturale, relazionale, sociale”, “Ritrovarsi a farlo solo in modalità telematica, con tre piccoli bimbi che, in un momento così delicato, chiedono sempre più attenzione, ha stravolto completamente la mia giornata”, “La mancanza di rapporti umani… mi è mancata, insomma, la dimensione comunitaria”, “Una specie di ‘rivoluzione’ non solo materiale, ma anche mentale, culturale e relazionale”.
Quelle appena lette sono solo alcune delle frasi in cui ci siamo imbattuti nel corso di questo viaggio, frasi che ci hanno colpiti e che offrono uno spaccato di come alcuni dei protagonisti e delle protagoniste del mondo universitario hanno vissuto il cosiddetto lockdown da Coronavirus.
Gli strumenti multimediali, con tutti i limiti del caso, hanno comunque offerto la possibilità di non interrompere completamente ciò che la pandemia rendeva impossibile nelle consuete modalità. In alcuni casi, hanno perfino offerto nuove opportunità, come lo svolgimento di riunioni a distanza o la possibilità, per gli studenti e le studentesse fuori sede, per coloro che lavorano o che frequentano tirocini e laboratori, di seguire le lezioni da casa, anche in un secondo momento. Sarebbe importante che l’Università facesse tesoro di queste scoperte, in futuro…
Traspare, tuttavia, in ogni testimonianza, la sofferenza dovuta alla distanza dai rapporti reali, quelli in cui studenti/esse, professori/esse e personale amministrativo riescono a condividere lo stesso spazio e lo stesso tempo, respirando la stessa aria e nutrendosi di uno scambio che va ben oltre le parole. E che dire delle esperienze di tirocinio e dei laboratori, in cui la presenza fisica è indispensabile per mettersi all’opera ed imparare? Ovviamente, una tragedia. Ironia della sorte, mentre il virtuale invadeva molti meandri dell’Università, restavano ‘dannatamente’ reali quegli aspetti pratici di contorno come l’affitto, il dover comprare strumenti multimediali adeguati, il recuperare spazio in casa, le tasse, le bollette.
Nonostante le difficoltà e la scarsa attenzione che il mondo universitario ha ricevuto in questo difficile periodo, le testimonianze dei protagonisti e delle protagoniste emanano una grande forza e un grande spirito di adattamento, aspetti fondamentali da cui poter ripartire.
Vogliamo concludere il nostro viaggio con un interrogativo aperto, volutamente insaturo. Se l’Università deve essere, come afferma Umberto Eco, quel luogo in cui il progresso del sapere ha bisogno di identità umane reali e non virtuali, questa incredibile esperienza di pandemia potrà rappresentare, per l’Università, un’occasione per ristrutturarsi, integrando quel mondo fatto di relazioni reali stabili e ben solide con gli aspetti positivi del mondo virtuale?
A nome nostro e del Consultorio AIED, ringraziamo le studentesse e gli studenti, i professori e il personale amministrativo, che ci hanno consentito di intraprendere questo difficile e, al tempo stesso, meraviglioso viaggio nei luoghi “in cui sono possibili confronti e discussioni, idee migliori per un mondo migliore…” (Umberto Eco). Grazie a tutti e a tutte.

Dott. Domenico Capogrossi
Dott.ssa Veronica D.M. Levanti

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