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“IMMAGINATE DI RISVEGLIARVI IN UN PAESE STRANIERO…”

Veronica LevantiIl coronavirus visto attraverso gli occhi dei bambini e delle bambine.

Della dott.ssa Veronica D. M. Levanti
Psicologa-Psicoterapeuta Psicoanalitica dell’Infanzia,
dell’Adolescenza e della Coppia genitoriale
Membro associato SIPsIA
Dottoressa di ricerca in Psicologia dello Sviluppo
Servizio di Psicologia AIED L’Aquila

Immaginate di risvegliarvi in un paese straniero. E’ in un luogo lontano, in cui si parla una lingua del tutto sconosciuta o solo parzialmente decifrabile, che io immagino si siano ritrovati i bambini e le bambine all’arrivo del coronavirus nelle nostre vite.

Nel pensarlo, ho in mente una delle prime scene del film “Iron Man”, quella in cui Tony Stark viene ferito e catturato da un commando di guerriglieri afghani. Al suo risveglio, un gruppo di persone lo circonda. Non una delle loro parole è comprensibile, ma i guerriglieri sono armati, il clima appare teso, le frasi indecifrabili sono pronunciate con tono minaccioso… Lo spettatore non sa cosa stia succedendo, ma ha paura e ne ha ancora di più proprio perché non capisce.

Mi sono domandata se questa scena potesse avvicinarmi al vissuto di bambini/e molto piccoli/e, che conoscono il significato di poche parole, ma vedono i loro genitori preoccupati, agitati, commossi. E non capiscono perché.

Mi sono domandata quale potesse essere il vissuto di un/a bambino/a di 5 o 6 anni, che è in grado di comprendere il significato di termini quali “morte”, “cadaveri”, “vittime anziane”, “paura”, “pericolo”… e sa decifrare con maggiore raffinatezza i toni e le espressioni del viso di chi lo circonda. Ho pensato a quello che proverei, se risvegliandomi in un paese straniero io ascoltassi queste parole e nessuno mi aiutasse a contestualizzarle. Penserei al peggio, penserei di dover morire, penserei alla paura di non rivedere i miei cari.

coronavirusAll’aumentare dell’età, il linguaggio straniero diventa più conosciuto, decifrabile… ma può un/a bambino/a o un/a ragazzino/a decifrare da solo/a le emozioni che scaturiscono dalla sua decodifica? Il contenuto è incontenibile, i pensieri schizzano in tutte le direzioni: “Che succede se mi ammalo o se si ammalano i miei genitori?”, “Mio nonno e mia nonna possono morire?”, “Perché mamma continua ad andare al lavoro: ho paura che le succeda qualcosa!”, “Giocherò di nuovo con i miei amici?”, “Andrò al mare, quest’estate, non è vero?!”… Fanno fatica anche gli adulti a pensare questi pensieri. E i bambini e le bambine, spesso, li pensano da soli e da sole.

Ma come facciamo ad accorgerci che sono andati/e così lontano? E come possiamo raggiungerli/e, aiutarli/e a comprendere, contenere le loro paure?
I bambini e le bambine chiedono il nostro aiuto, la nostra vicinanza e la nostra forza in mille modi. Chiedono facendo finta di non aver sentito una notizia terribile al telegiornale. Chiedono invitandoci a giocare quando nei nostri occhi leggono la tristezza e lo smarrimento. Chiedono quando il virus non lo vogliono sentire nemmeno nominare. Chiedono quando piangono a singhiozzi per quelle che a noi sembrano delle sciocchezze, dei pretesti: “Lo fa apposta”, diciamo, ma loro ci stanno solo gridando la loro confusione e la loro angoscia. Chiedono quando non riescono ad addormentarsi se non nel lettone o quando riprendono a fare la pipì nel loro letto. Chiedono quando hanno mal di pancia e anche quando non hanno voglia di fare i compiti. Nonostante prima fossero tanto veloci e motivati/e… ma che senso ha, adesso, per loro?

Io li/e immagino così, in quel paese straniero e spaventoso nel quale dobbiamo cercarli/e per ascoltare le loro parole, toccare le loro emozioni, accompagnare le loro fantasie, comprendere quello che hanno compreso e poi aiutarli a tradurre una realtà che è sconosciuta e imprevedibile, ma nella quale è possibile incontrarsi in un modo nuovo, offrirsi una reciproca comprensione, scoprire parole mai conosciute – crearle, perfino – ed attribuire loro dei significati finalmente condivisi.

Che il paese straniero sia, in fondo, un nuovo posto scovato dentro di noi, un luogo nascosto che non conoscevamo o che, forse, neanche esisteva, prima del coronavirus?
Mi piace pensare che un elemento estraneo e spaventoso possa creare anche delle nuove geografie, dei nuovi linguaggi fra il nostro mondo e quello dell’infanzia, per i nostri figli e le nostre figlie… ma anche per noi.

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