Categorie
Notizie

LA PSICOANALISI

IMG-20200330-WA0002La dottoressa Valentina Nanni
Psicologa Psicoterapeuta AIED, candidata della Società Psicoanalitica Italiana

INTERVISTA

la dottoressa Carla Busato Barbaglio
Analista con funzioni di training, Analista di bambini e adolescenti e famiglie, Psicoterapeuta di bambini e adolescenti e famiglie modello Tavistock

VN: La psicoanalisi, questa sconosciuta che un po’ affascina e un po’ intimorisce. Di cosa si tratta in parole semplici?
CB: E’ una domanda estremamente complessa questa che richiederebbe ben altri spazi, se dovessi fare una sintesi, sperando di non cadere nel banale, la definirei la possibilità attraverso l’incontro non solo di lavorare sulla parte sintomatica, ma in modo particolare di restituire vita, emozioni positive, progettualità là dove qualcosa non ha funzionato, si è inceppato non è nato. Ma questo presuppone che chi fa questo lavoro prima di tutto abbia una solida e forte formazione e attenzione continua rispetto alle proprie possibilità vitali.

VN: Quale contributo crede possa offrire oggi la psicoanalisi?
CB: In un tempo nel quale la frenesia, la fretta come la chiama Bauman l’essere in una società liquida che non consente la sedimentazione di valori, la psicoanalisi con i suoi tempi anche più prolungati va in controtendenza e, come per fare un bambino ancora ci vogliono nove mesi, per stare meglio, per riprendere un progetto di sé, per avere migliori rapporti di intimità con l’altro, forse non è possibile né correre né accontentarsi di un mordi e fuggi.

VN: Quale apporto in questo momento particolare?
CB: Questo è un momento particolarissimo nel quale la frenesia ha subito un brusco rallentamento. Diceva un mio paziente sconsolato ‘poi torneremo come fanno i criceti a correre nella ruota dimentichi delle ferite e delle morti lasciate indietro’. Non so come sarà il poi, ora rimanere vivi pensare ad una progettualità è molto più complesso. Siamo tutti a livello planetario, sulla stessa barca, dentro all’angoscia, con questo senso che nulla è più rispettato. Malattia in solitudine senza contatto fisico ma attraverso scafandri. Credo che la fila dei camion militari con dentro le bare stia nel cuore e nelle emozioni di tutti. Come ci aiutiamo a rimanere vivi in questo momento? Le racconto di una mostra bellissima di una artista sarda Maria Lai. Che forse ci aiuta.

Non la conoscevo, ne sono uscita commossa non solo per la sua ricerca indefessa di nuove forme, colori, materiali, ma per il suo aver concepito via via nel lunghissimo percorso della sua vita, l’arte come ‘la prosecuzione del gioco infantile’ e come questa possa essere anche uno strumento di grande cambiamento sociale. Nei suoi filmati, per esempio in quello ‘legarsi alla montagna’ con un nastro azzurro, si vede come attraverso la cucitura reale di un paese nel quale le persone si odiavano da generazioni il partecipare al suo progetto di cucitura abbia cambiato le relazioni: le persone lavorando assieme sono passate dall’odio alla collaborazione, insieme per un progetto, una struttura artistica che connette. Oggi siamo capaci di riconnetterci positivamente, in un tempo così difficile siamo ancora capaci di giocare? La storia del nastro azzurro parte da una realtà. Da una montagna di un paesino sardo si staccò una frana che travolse tre bambine, miracolosamente si salvò una bambina, si racconta che i soccorritori videro che essa teneva stretto a sé un nastro azzurro.

Per Maria Lai la bambina era stata capace di vedere la bellezza in un nastro che volteggiava nella tempesta, era stata capace di prenderlo e di tenerlo stretto e così si era salvata. Arte e Bellezza. Arte Bellezza e Vita. Cosa ci rende nel bel mezzo di un temporale capaci di affrontare il rischio e andare controcorrente e afferrare una cosa così insensata come un nastro azzurro, invece che stare al riparo? Confrontandomi con una collega sarda si pensava che il riparo in questo periodo che stiamo vivendo possa essere non la quarantena che affrontiamo, ma l’idea di non poter perdere le certezze che abbiamo costruito, i riti collettivi, le abitudini, i ritmi, il modo di vivere freneticamente la vita. La tempesta è forse questo silenzio che avvolge le case, le strade, i cieli e anche noi. Incredibile la benedizione del Papa in una piazza san Pietro vuota sembrava la rappresentazione di tutto questo. Commovente e forte. E il nastro? È la capacità di meravigliarci, direbbe Maria Lai, di stupirci e di vedere nella tempesta il bello. In questo momento è il cantare ai balconi, il recuperare tempo. il trascorrere ore in famiglia… Ecco forse questo è il compito di tutti noi di mettere al servizio gli uni degli altri la possibilità di afferrare il nastro azzurro e di legarci affettivamente per ricostruire. Nella San Pietro vuota i toni sommessi del papa scandivano ‘Nessuno si salva da solo’. E forse noi analisti, se ne siamo capaci, possiamo aiutare ad afferrare il nastro azzurro e contribuire a legare la ricostruzione. Certamente credo che per alcuni, in modo particolare, non sarà semplice integrare questa esperienza. Sarà necessario rivolgere una attenzione particolare ai sopravvissuti, a quelli che hanno perso una parte della famiglia senza un contatto possibile, penso agli operatori che hanno deciso di separarsi dalla famiglia per preservarla e così facendo hanno rinunciato ad alimentarsi di vita, a chi ha dovuto scegliere chi fare vivere e chi no. Sarà necessario per tutti loro uno sforzo comune, mettere in gioco risorse e idee. Come dare aiuto oltre che a rimanere vivi a riprendere vita poi.

VN: Sebbene non sia stato vietato il prosieguo delle sedute svolte di persona, è stato caldamente suggerito di evitare possibilità di incontro, a fronte dell’elevato rischio di contagio che deriva da ogni tipo di scambio. La psicoanalisi si è adattata ai tempi odierni spostando l’attività in rete o mediante l’ausilio delle chiamate telefoniche. Cosa ne pensa? quali cambiamenti ha notato?
CB: E’ un po’ presto per fare una riflessione seria. Quindi parlo a titolo personale. Analisi supervisioni o altro tutto via skype o per whatsapp… Già qualche analisi per situazioni straordinarie di persone per molti motivi andate all’estero la stavo facendo ora però è tutto il tempo così. I primi giorni mi ritrovavo la sera stanchissima, quasi svuotata, ora va un po’ meglio. Certo manca il corpo con tutte le comunicazioni che avvengono al di là della parola, negli odori, nei suoni non mediati, nei movimenti dell’uno e dell’altro partecipante alla seduta perché non dimentichiamo l’incontro è una costruzione a due e tutti e due i componenti propongono di se qualcosa e questa parte è la più complessa. Certamente almeno per me nelle analisi a più sedute c’è una qualità che si è instaurata e che continua anche se diversa… Penserei che i sogni che si sono moltiplicati per alcuni molto, diventano ‘il luogo ‘ la memoria di un lavoro insieme nell’intimità. Nel lavoro con meno sedute è più complesso. Seguire coppie o famiglie con skype che funziona a singhiozzo e con immagini che si sfocano diventa ancora più arduo. Ma questi sono i tempi e bisogna essere vigili ad afferrare il nastro azzurro per non spegnerci assieme all’altro nell’angoscia che comunque si condivide.

VN: Se da una parte il lavoro da remoto evoca un senso di distanza, sembra mobilitare anche un vissuto di intimità maggiore. Si entra nelle case dell’uno e dell’altro componete della coppia analitica, in un clima di condivisione di un’esperienza globale. Pensa che tutto questo possa avere una qualità significativa ai fini del percorso analitico? Che possa essere disturbante o viceversa rivelarsi un catalizzatore?
CB: Anche su questo mi sembra presto per una riflessione seria. Alcuni pazienti ci tengono a farmi vedere gli ambienti della loro vita o delle cose a loro care, altri per proteggere l’intimità si collegano da terrazzi condominiali, macchina, o altro. L’ importante è come si mantiene saldo l’incontro. Certamente per chi è abituato a lavorare con bambini e adolescenti tutto questo è più facile essendo temprati a lavorare seduti per terra o sulle scale condominiali quando il bambino non vuole entrare o con l’iguana portato da casa. Credo che tutto questo potrebbe insegnare ad avere libertà diverse in seduta capendo che la serietà di ciò che si fa non è legata a norme, ma alla ricerca incessante di costruire vita l’uno con l’altro e l’uno per l’altro.

VN: A fronte dell’esilio forzato, la sensazione è che la quarantena mobiliti anche in casa un senso di vicinanza importante, ma non sempre facile da gestire. Penso alle/agli adolescenti costretti a restare in famiglia, alle coppie che si trovano a condividere molto tempo assieme, alle/ai bambine/i impossibilitati a trovarsi tra di loro o a scendere al parco. Cosa sta accadendo? Quali vissuti stanno emergendo?
CB: E’ presto per dirlo… ci sono adolescenti che stringono i denti anche perché la situazione familiare non è molto serena, altri che impossibilitati a vivere la loro adolescenza sono ben contenti di stare chiusi in casa protetti quasi reinfetati…. Certamente là dove le emozioni positive circolano, la convivenza è più sana si trovano nuove possibilità di benessere, là dove c’è un malfunzionamento le cose nella costrizione peggiorano.

VN: Lei si occupa anche di bambini/e e adolescenti e si interessa di osservazione madre/bambino, neuroscienze, infant research. Quali tracce pensa che resteranno nella memoria dei più piccoli? Quali impronte nello sviluppo?
CB: Non lo so ma credo che riallacciandomi alla risposta data sopra dipenderà molto oltre che dalla struttura del bambino dal clima che respirerà in famiglia, da come gli adulti sapranno essere il più possibile positivi e qui ci vuole: ‘capaci di giocare’, di trasformare le difficoltà in qualcosa di sostenibile. Scrivevo in un mio lavoro: Credo che ogni uno di voi veda come interagisce una madre con un febbrone del bambino. C’è chi sa gestirlo con sufficiente tranquillità avvalendosi del pediatra e di ciò che viene suggerito e c’è chi perde la testa. L’angoscia comunicata altera inevitabilmente l’interazione con il bambino che magari risponde piangendo e angosciando ancora di più la madre in un circolo infinito. Tutti e due in preda allo sconforto. Queste esperienze diventano un modo di comunicare tra i due che plasmerà e indicherà la strada di quella relazione. Ogni esperienza crea una traccia anche a livello cerebrale che poi aprirà la strada ad altre tracce. Il grosso interrogativo è come verrà gestito in ogni famiglia il febbrone coronavirus.

VN: Approfittando di questo tempo come un’occasione, cosa consiglierebbe di leggere o quale film guardare?
CB: Credo che ogni famiglia sufficientemente funzionante sia in grado di afferrare il ‘suo nastro azzurro. All’interno del suo modo di comunicare della sua cultura … la cosa che noto è che circolano ricette bellissime…. Una paziente si è rimessa a fare la pasta in casa, mentre in una altra famiglia si era ripreso a cucire perché, come diceva la nonna, il cucito ‘pettina dolcemente i pensieri’.

Condividi